La parola “pazienza” viene utilizzata in modi differenti nel linguaggio comune, e comunque ognuno di noi la conosce di sicuro fin dall’infanzia. “Devi avere pazienza! Con la pazienza si ottiene tutto! Non ho pazienza!” ecc., sono tutte espressioni che vengono utilizzate nell’educazione dei bambini dai genitori, dagli insegnanti, dagli allenatori ecc. Possiamo dire che cresciamo con questa parola che ci rimbomba spesso nella testa, ma ci siamo mai chiesti se ne conosciamo realmente il vero significato?
Che cos’è la pazienza?
L’etimologia della parola “pazienza” giunge dal latino “patienza”, ossia “pati”, sopportare qualcosa anche di avverso. Dunque sembra che sia legata alla virtù del sacrificio, ossia della capacità di accettare tutto ciò che la vita propone, sia eventi piacevoli sia situazioni difficili e dolorose.
Ma l’accezione che la nostra cultura ha affibbiato a questa parola, non corrisponde del tutto alla sua vera energia, e la confusione nasce dall’errata accezione che di norma viene data anche alla parola “sopportare”.
In entrambi i casi, spesso nel linguaggio comune si fa riferimento a queste due parole quando si vuole descrivere una situazione in cui è prevista la rassegnazione. Espressioni tipo: “Non riesco proprio, pazienza…. Devo sopportarti ogni giorno, non ne posso più! Se perdo la pazienza vedrai che succede! Bisogna sopportare tutto per espiare le nostre colpe, ecc.”, sono tutte forme-pensiero della nostra personalità, del nostro ego, che ci suggeriscono di annullare o svalutare noi stessi in virtù di una quieta, passiva, pesante rassegnazione.
In realtà sopportare significa di fatto saper portare, ossia indica un’abilità, una risorsa, un dono, di cui l’essere umano è dotato di natura. Noi tutti siamo nati con una struttura interiore capace di saper portare anche dei pesi lungo la nostra esistenza; del resto, come Anime ci scegliamo delle prove, ci diamo dei compiti per risvegliarci durante l’incarnazione.
Dunque, come ci ha insegnato Gesù, saper portare la propria croce è un’attitudine del cuore e ci apre alla compassione. Ma un conto è saper portare (dunque sopportare) i pesi e le sfide provenienti dalle scelte consapevoli compiute dal cuore, un conto è saper portare (sopportare) i pesi e i limiti che la nostra mente ci infligge in continue dinamiche di svalutazione di noi stessi, come per esempio spesso accade quando siamo nel compiacimento, nel tentativo di sedurre con la nostra continua disponibilità, nella passività della non risposta ai soprusi ecc.
Ecco che in questa accezione, sopportare diventa rassegnarsi, tradendo noi stessi e praticando una sorta di violenza verso noi stessi.
In verità, ritornando al concetto di saper portare, da cui la parola pazienza deriva, possiamo ben comprendere che la pazienza è uno stato pro-attivo dell’Essere: è la consapevolezza che la vita è composta di fasi, alcune più piacevoli altre meno, e che il tempo necessario a un processo è perfetto così com’è e che nel frattempo io posso avere fiducia e rimanere in contatto con il mio intuito per cogliere eventuali opportunità di miglioramento.
La pazienza è sentire che, se si è presenti a noi stessi, si è in un flusso in collaborazione con il tutto, da uno spazio di potere personale e di libertà assoluta.
I benefici della pazienza
Se diamo a noi stessi il permesso di osservare la Natura intorno a noi, possiamo accorgerci che tutto ha un tempo fisiologico, dettato da un’intelligenza cosmica che scorre nelle cellule e negli atomi di qualsiasi cosa esistente nell’universo.
Un seme possiede in potenziale tutto ciò che serve affinché possa nascere un albero, oppure un fiore, oppure un pomodoro.
Il seme, di per sé, non è ancora un albero, un fiore o un pomodoro, ma contiene già quello che sarà. Dunque, va piantato, affidandolo alla Terra, e poi va nutrito con amore finché il suo processo si concluderà con lo spuntare del germoglio. Il germoglio poi deve essere ancora nutrito e protetto per permettergli di crescere e di manifestare la sua natura (cioè divenire albero, fiore, pomodoro).
Immagina di piantare un seme di insalata in un vaso. Poi immagina che, dal momento in cui lo hai affidato alla terra, ti siedi lì davanti al vaso e inizi a pensare: “Ecco, adesso quanto tempo ci vorrà? Come mai è così lento? Sta spuntando? No, non spunta ancora, mannaggia, quanto ci mette? E se non spuntasse per niente, come faccio a mangiare l’insalata? E se marcisce nel terreno senza che io me ne accorga? E se spunta quando io non ci sono?”. Immagina di rimanere lì, per giorni, in attesa di vedere spuntare il piccolo germoglio, e di lasciare il potere alla tua mente affinché produca continuamente questo genere di pensieri. Come ti sentiresti?
Questo è il modo con cui ci approcciamo a TUTTO nella vita. Questo è l’atteggiamento mentale disfunzionale a cui affidiamo il nostro mondo emotivo. Auto-produciamo ansia, stress, angoscia, dando potere alla nostra parte mentale condizionata e addestrata ai meccanismi della società.
Spesso, anche quando ci approcciamo a discipline come la Mindfulness, accade lo stesso fenomeno: ci chiediamo continuamente quando riusciremo a rilassarci, quando capiremo le dinamiche interiori, quando lasceremo andare quel tratto di personalità, quando saremo in grado di guarire quella ferita. E crediamo che la felicità non possa esistere, finché non avremo compiuto quel passaggio.
Invece la pazienza ci insegna ad aprirci ad uno spazio interiore di quiete e di tranquillità, che prevede la capacità di avere fiducia nel flusso della vita. Questo spazio interiore è molto benefico per l’essere umano: migliora la produzione di onde cerebrali, di ormoni, di enzimi metabolici; ci aiuta a ridurre lo stress, con tutte le conseguenze che questo produce nel corpo; ci permette di gestire meglio la mente e le emozioni; ci fa vivere in modo più leggero e nutriente.

Come mai si perde la pazienza?
Nell’odierna società, dal post-guerra a oggi, il tempo ha assunto un valore diverso dal passato, cioè è diventato “denaro”. E il denaro da sempre è un mezzo utilizzato per gestire il potere sulle masse in modo iniquo e manipolatorio. Possedere denaro significa poter influire sulle sorti del Pianeta e dell’Umanità. Dunque, utilizzare il tempo in modo da poter produrre sempre più denaro è diventato lo scopo dei potenti che governano il mondo (e cioè l’alta finanza e le famiglie che la dirigono).
Per ottenere un pomodoro in tempi stretti, occorre modificare geneticamente il seme e creare simulazioni intensive dei fenomeni naturali di maturazione (serre, concimi, illuminazioni artificiali ecc.). Per far crescere un vitello più in fretta, bisogna per forza ricorrere a determinati espedienti attraverso farmaci chimici che agiscono sul metabolismo dell’animale, facendolo ingrassare di più e diventare pronto alla macellazione in tempi più brevi. In entrambi gli esempi, il risultato della forzatura artificiale sull’elemento naturale, è che mangiamo cibo intossicato da agenti chimici che il nostro corpo non riesce a metabolizzare e a smaltire del tutto.
Dagli anni ’50 in poi, i tratti del capitalismo, del consumismo e della produzione da parte delle multinazionali, hanno assunto una valenza determinante sulla gestione del tempo. Siamo nati in un’epoca in cui bisogna correre, sempre. Fin da piccoli, veniamo addestrati a gestire il tempo in modo da poter fare il maggior numero di cose possibili, in modo da “produrre” il più possibile, esattamente come una macchina.
Ci è stato insegnato, appunto, che il tempo è denaro, e che bisogna gestirlo in modo ottimale affinché la nostra vita sia consacrata alla produzione e al consumo di beni e servizi. Ecco che oggi la nostra mente, intrisa di questi programmi automatici, vede tutto con il filtro della impazienza, della fretta, della velocità. Tutto deve avvenire con dei ritmi dettati dalle aspettative ansiogene della nostra mente.
Cosa accade nella maggior parte delle persone quando c’è qualcosa da “aspettare”? Si genera ansia, si genera rabbia, si genera impazienza. E allora si riempie questo spazio con azioni meccaniche o con processi di ruminazione mentale che peggiorano ancora di più il nostro stato emotivo e fisico. Aspettare il pullman, aspettare che un amico ci chiami, aspettare che il datore di lavoro ci risponda alla nostra richiesta di aumento, aspettare che il nostro partner ci dica che ci ama, aspettare che ci arrivi un’intuizione, aspettare il raggiungimento di un obiettivo…. Tutto questo può generare ansia, stress, rabbia, frustrazione, aspettativa, impazienza, frenesia, tensione.
Ognuno poi reagisce meccanicamente a queste sensazioni in modi differenti: c’è chi si sfoga sugli altri, c’è chi si chiude in se stesso, c’è chi fugge attraverso il cellulare o la tv, c’è chi riversa il tutto sul cibo o sull’alcol, ecc. Le conseguenze pratiche sono estremamente soggettive e potenzialmente infinite.

Come coltivare la pazienza con la Mindfulness
La disciplina della Mindfulness ci suggerisce di provare a cambiare atteggiamento verso noi stessi e verso il mondo, adottando l’attitudine interiore della pazienza.
Quando decido di piantare un seme, lo affido alla terra, lo nutro in modo naturale con amore, senza forzature, senza aspettative. Semplicemente, lascio che l’intelligenza cosmica collabori alla realizzazione del seme stesso.
Le mie azioni non bastano per realizzare qualcosa nel mondo: serve un’alleanza con qualcosa di più grande, e cioè con l’universo e con la sua intelligenza perfetta. Tutto accade quando HA SENSO che accada.
E il senso si trova se si adotta lo sguardo dell’Anima, che sa scorgere la perfezione in ogni situazione, in ogni tempo, in ogni spazio.
La pazienza ci permette di rilassarci e di lasciar andare l’attaccamento al risultato e ai tempi con cui dovrebbe manifestarsi quel risultato in base ai condizionamenti mentali. La pazienza ci permette di coltivare la fiducia nella Natura e nelle leggi dell’universo.
La pazienza ci aiuta a rimanere nel qui e ora, a osservare ciò che c’è, senza forzare e senza renderci meccanici.
Stabilire un obiettivo per il futuro richiede pazienza, richiede la capacità di stare nel flusso, di essere resilienti, di attendere il prossimo passo, la prossima intuizione, la prossima opportunità. Vivere relazioni sane richiede pazienza, richiede accoglienza dei tempi nostri e dell’altro, richiede di sviluppare la capacità di vedere la bellezza già adesso, nonostante tutto ciò che è necessario migliorare.
Svolgere un lavoro nutriente richiede pazienza e attenzione al dettaglio, richiede un’attitudine mentale alla lucidità e alla comprensione del tutto. In generale, vivere in modo libero e auto-realizzante richiede di coltivare la pazienza, cioè di sentire interiormente il tempo perfetto per tutto ciò che deve manifestarsi. La pazienza è un’attitudine pro-attiva, non certo passiva.
Dunque per stimolare una maggiore pazienza, è bene iniziare ad apprendere e a praticare la disciplina della Mindfulness, in quanto è solo in uno stato di presenza che noi riusciamo ad accogliere ciò che arriva in modo tranquillo e rilassato, senza entrare in aspettative, giudizi, reazioni, passività.
Imparare ad ancorarsi al respiro in modo consapevole, ad auto-osservare i meccanismi della personalità che portano verso l’impazienza, a essere presenti alle nostre emozioni, significa gettare le basi per aprire il cuore al saper portare l’intera esistenza, cioè a essere pazienti con noi stessi in primis e con la vita in generale.
Dott.ssa Annalisa Chelotti