Mi piacerebbe cominciare questo nuovo articolo descrivendo una giornata tipo di un bambino, partendo semplicemente dalla mia esperienza come educatore della scuola dell’infanzia per fare alcune riflessioni importanti su quella che io chiamo la nuova frontiera dei disagi infantili.
Giorgio ha 5 anni, frequenta l’ultimo anno della materna e si sveglia ogni mattina alle 7.00.
Appena viene svegliato dal papà deve fare subito colazione perché, nel frattempo, i genitori devono anche occuparsi della sorella più piccola e prepararsi per andare a lavorare. Giorgio non mostra molto appetito, ma per convincerlo a stare a tavola viene accesa la televisione con i cartoni animati. Fa colazione e poi si veste con l’aiuto di sua madre che, nel mentre, parla al telefono poiché una sua collega ha bisogno di comunicarle le scadenze urgenti della giornata.
Arriva a scuola intorno alle 8.00, è ancora un po’ addormentato ma in parte anche già attivo nel corpo e si immerge nelle attività dell’asilo.
In asilo, tra una pausa di routine e l’altra, sperimenta il laboratorio di musica e psicomotricità. In un battibaleno si ritrova a pranzare e poi, mentre gli altri bimbi più piccoli dormono, lui con i suoi coetanei fa esercizi di memorizzazione delle lettere dell’alfabeto e dei numeri: il prossimo anno andrà alle elementari e dovrà già essere preparato

Finisce la scuola ma le attività non sono ancora terminate!
Dopo fa la merenda con i compagni e gioca liberamente fino a che, verso le 16.00, non arriva a prenderlo il papà per portarlo alla propedeutica al calcio. Il papà è di fretta perché alle 17 inizia l’attività con l’istruttore.
Qui viene incitato dagli allenatori a correre dietro al pallone con l’unico scopo di fare gol e portare la sua squadra a vincere, proprio rifacendosi all’immagine dei più grandi calciatori italiani dai quali prendere ispirazione.
Tra un urlo e un altro, se da un lato Giorgio sfoga la sua energia, una parte viene immagazzinata dentro di sè e così ritorna a casa pieno di adrenalina.
A casa guarda ancora un po’ di cartoni animati prima di mangiare e poi, per tutta la cena sente i suoi discutere dell’incombenza delle cose da fare e del poco tempo a disposizione. Ognuno di loro è concentrato sui propri problemi e il piccolo Giorgio si accomoda nel suo mondo interiore, diviso da una parte dal voler fare e dall’altra nell’aver timore di chiedere e sentirsi come un problema.
Infatti c’è la sorellina più piccola che ora ha più bisogno di lui… e così la giornata finisce con l’andare a dormire intorno alle 22.30 mentre la mamma le racconta una fiaba ma, ahimè, si addormenta prima che la storia finisca…
Vuoi ricevere il nostro corso gratuito “I 7 Pilastri della Mindfulness” + una sorpresa bonus ?
Un, due e tre… respiriamo e fermiamoci
Se ora ci fermiamo per un attimo a guardare le cose da un punto di vista non giudicante ma di osservazione esterna, cosa balza all’occhio dell’osservatore? Al di là delle varie angolazioni, certamente “il fare” sembra essere l’attività più ricercata e simulata, e quando questo meccanismo fallace accompagna la crescita del bambino non possiamo, poi, che ritrovare piccoli adulti in preda allo stimolo del fare e completamente sconnessi da se stessi e dal sentire i propri bisogni emotivi.
Quella del fare è, a mio avviso, la nuova frontiera dei disagi infantili: questo è uno dei motivi per cui ci ritroviamo una molteplicità di classificazioni sui disturbi della memoria e dell’attenzione, come se il tutto dipendesse da qualcosa di strutturale.
Il mio invito, soprattutto a chi è genitore, è quello di concedersi di stare con i propri figli e di essere autentici piuttosto che performanti a tutti i costi, poiché il loro sarà il modello che cercheranno di imitare o combattere per tutto il resto della loro vita, disperdendo energie e risorse preziose.