La maggior parte delle persone, se interrogata sul senso della vita, risponde che vuole essere felice e che desidera vivere in modo sano e armonioso. Ma poi di fatto pochissimi ci riescono davvero; tutti gli altri proseguono giorno dopo giorno a condurre una vita piena di tormenti interiori, insoddisfazioni, conflitti, sofferenza. Finché magari un giorno scelgono di fare un percorso terapeutico per mettere a posto dei tasselli.
Ma la terapia prevede di andare in profondità, di contattare memorie cellulari e vissuti emotivi dolorosi, con lo scopo di integrarli nella consapevolezza di sé e di liberarli così dall’oblio dell’inconscio.
Le resistenze: cosa sono e come si riconoscono
Quando una persona arriva in terapia, è fondamentale innanzitutto effettuare una “psicodiagnosi” sulle difese che la persona mette in atto.
Cosa significa?
Il terapeuta deve osservare, in modo neutro e amorevole, il modo con cui la persona si protegge dal sentire emozioni difficili e vissuti scomodi. L’ascolto empatico, con il cuore aperto, è fondamentale per cogliere l’essenza dell’individuo e le sue parti di personalità che invece sono state costruite per sopravvivere nell’infanzia. Questo permette di aiutare la persona a diventarne a sua volta consapevole in modo da abbassare gradualmente queste difese e permettersi pian piano di sentire più profondamente le emozioni.
Le resistenze al cambiamento non sono intenzionali, ciò significa che la persona non le mette in atto di proposito, ma piuttosto è inconsapevole della loro esistenza, e crede che quello sia il suo carattere, la sua struttura innata. Il compito del terapeuta è quello di fargliele notare, in modo non giudicante, e di invitarla a non metterle in atto lì, durante la seduta, nel qui e ora.
Se per esempio un paziente parla di un evento doloroso accaduto nell’infanzia, e mentre ne parla sorride, si imbarazza, abbassa gli occhi, si perde nella narrazione o magari dice che non è così importante, allora è chiaro che il terapeuta si trova di fronte a una difesa, ed è suo compito fare in modo che emerga nel paziente la consapevolezza che si sta proteggendo dalle emozioni che quel ricordo muove dentro di lui. La terapia quindi ha lo scopo di accompagnare la persona a sentire quelle emozioni dolorose, a lasciare che emergano tutte fino in fondo, nella loro massima intensità, affinché l’inconscio possa essere liberato da quel materiale emotivo rimasto represso e imprigionato per tanti anni.
Il terapeuta è come un traghettatore: può accompagnare la persona dalla sponda della mente, piena di narrazioni e di difese, alla sponda del cuore, che può comprendere e tenere tutto, anche le emozioni più intense e difficili.
Questo processo porta a riparare i traumi e le ferite infantili, in modo da rendere gli adulti più integri e capaci di autodeterminarsi. Ma tutto questo è possibile solo se viene fatto un buon lavoro sulle resistenze, altrimenti le barriere impediscono di entrare in profondità e di liberare i materiali repressi.
Il cambiamento è la naturale conseguenza dello sblocco emotivo
Se nella terapia la persona è riuscita a non agire le sue difese, si è data il permesso di sentire profondamente il dolore per i vissuti traumatici e la rabbia per ciò che non ha ricevuto o per ciò che ha subito, ha provato una profonda compassione per se stessa e per la sua storia, ecco che qualcosa già è cambiato nella struttura della sua psiche. L’inconscio si è alleggerito di un materiale pesante che prima generava limiti e paure; è come quando decidiamo di scendere in cantina a fare pulizia e magari ci permettiamo di buttare via qualcosa di vecchio, che non serve più, facendo spazio e creando nuove possibilità.
Dunque il cambiamento è qualcosa che prima avviene all’interno, nei delicati equilibri psichici: le difese lasciano il posto al sentire, i copioni di comportamento lasciano spazio per azioni più libere e autentiche, le emozioni e la forza vitale scorrono più fluidamente nel corpo. Ed ecco che questo, a specchio, genera cambiamenti esterni, la realtà là fuori si adegua alla nuova realtà interiore. Grazie alla rinnovata capacità di sentire, le persone si riappropriano di una guida che avevano perso: possono affidarsi all’intuito, alle percezioni, all’intelligenza creativa che permette di rispondere all’ambiente in modo sempre nuovo e autentico, senza per forza mettere su delle barriere protettive che sì, proteggono, ma anche limitano e rischiano di distorcere la visione del mondo e di se stessi.
Il vero cambiamento è quello “verticale”, ossia da un piano di coscienza ristretto, in cui si vive nella paura e nella resistenza (come se dovessimo sopravvivere ogni giorno in un mondo ostile) a un piano di coscienza più espanso, in cui ci si accorge che l’esterno è un riflesso di noi stessi e si inizia a riconoscere il nostro potenziale e a creare nuove connessioni.
Operare solo dei cambiamenti orizzontali (esempio: trovo un nuovo lavoro, vado a vivere in un’altra città, lascio il mio partner per un altro ecc.) non è sufficiente per vivere veramente nell’armonia e nell’equilibrio. I copioni adattivi, le difese e i tormenti interiori torneranno presto nel nuovo lavoro, nella nuova città, con il nuovo partner. Come se la trama del film fosse sempre la stessa nonostante il cambio di scenografia e del cast di attori.
Dunque il cambiamento è qualcosa che avviene dentro, non che si cerca fuori con lo sforzo; è un processo di guarigione profonda che modifica in modo permanente e indelebile uno stato interiore psichico, facendo sì che lo scopo non sia più quello di sopravvivere, bensì quello di esistere e vivere pienamente, anche assumendoci il rischio di osare e di agire dallo spazio dell’Essere, in modo non scontato, a volte addirittura divergente dalla massa. Questa si chiama libertà. E non ha prezzo.
Ogni essere umano ha il diritto di vivere liberamente, ma se ne deve assumere anche la responsabilità, prendendo in mano la propria vita e scegliendo di compiere un salto di coscienza, che spesso accade solo grazie a una terapia capace di liberare l’inconscio da tutto ciò che è stato represso e “dimenticato”.