La dipendenza affettiva: come guarire grazie ad una pratica Mindfulness

La dipendenza affettiva è una forte schiavitù emotiva in cui incorre la maggior parte della gente. Fa parte di un tratto della personalità e spesso si accompagna ad altri tipi di dipendenze (da sostanze, dal cibo, dal gioco d’azzardo ecc.). Come si fa a riconoscere la dipendenza affettiva e a curarla? Gioca un ruolo fondamentale il processo di auto-osservazione di sé, praticato con costanza e con apposite pratiche di Mindfulness.

I sintomi della dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva si attiva principalmente nei confronti delle persone verso cui proviamo sentimenti profondi di amore o di amicizia, con le quali siamo molto legati: gioca infatti un ruolo centrale nelle relazioni di coppia, nei rapporti di amicizia molto stretti, nei legami familiari tra genitori e figli. Può anche svilupparsi in relazione all’amore profondo verso l’animale domestico o verso cose a cui siamo molto affezionati (per esempio una casa, una macchina, un luogo).

Proviamo a riconoscere insieme i principali sintomi che si manifestano quando siamo prigionieri di questa dipendenza:

  • quando dipendiamo emotivamente da qualcuno o da qualcosa, di solito proviamo un profondo malessere anche solo a immaginare di non avere più quella persona/cosa nella nostra vita; si capisce che siamo di fronte alla dipendenza affettiva quando sprofondiamo nella disperazione, alternata a rabbia e paura, di fronte alla “scomparsa” della persona/cosa da cui dipendiamo;
  • un altro sintomo consiste nel percepire un vuoto incolmabile nel momento in cui non abbiamo più con noi la persona o l’oggetto della dipendenza: tutto intorno a noi appare senza senso, la vita stessa perde di significato, e sembra impossibile ritrovare un po’ di felicità;
  • dal punto di vista degli atteggiamenti verso l’esterno, la dipendenza affettiva può portare a reagire in modo aggressivo verso la persona che si allontana da noi o anche solo quando il pericolo di perderla si affaccia alla nostra mente cosciente: ogni volta che avvertiamo il rischio di rimanere senza quella persona o quell’oggetto, diventiamo rabbiosi e scarichiamo la “colpa” verso l’esterno.

Facciamo un esempio per comprendere meglio il meccanismo. Se in una relazione di coppia uno o entrambi i partner hanno strutturato una personalità dipendente, è probabile che la maggior parte dei conflitti sorgano proprio per contrastare la dipendenza stessa.

Quando il partner ricerca la sua libertà (in tutti i sensi), l’altro inizia a percepire un pericolo, senza però accorgersi del processo che accade a livello inconscio. Questo pericolo consiste nel “perdere” la persona amata. Dunque, si attivano una serie di pensieri, stati d’animo e comportamenti volti a trattenere il partner.

Potrebbe succedere che iniziamo a criticare e a giudicare il partner per le sue scelte di libertà, che ci sentiamo pieni di rabbia verso il partner perché sta cercando di soddisfare i suoi bisogni profondi, che mettiamo in atto azioni di manipolazione verso il partner stesso (“non mi ami perché non ti basto, se vuoi vedere spesso i tuoi amici”, oppure “mi fai stare male quando mi dici che hai bisogno di tempo per te: io che ruolo ho nella tua vita?”).

Dipendenza affettiva: i processi di manipolazione

dipendenza affettiva

I processi di manipolazione derivanti dalla dipendenza affettiva sono principalmente di 3 tipi:

  • attraverso il giudizio e la critica si cerca di persuadere l’altro a comportarsi come noi vogliamo per sentirci al sicuro da una presunta perdita: facciamo in modo che si senta “sbagliato” nel compiere le sue scelte;
  • attraverso l’autocommiserazione e il vittimismo, stimolando nell’altro un senso di colpa volto a fargli cambiare idea o farlo comportare in maniera diversa da quella che lui vorrebbe;
  • attraverso il compiacimento, cioè dando all’altro la libertà di fare come vuole, ma solo a parole, cioè senza sentire realmente dentro al cuore questo “permesso”: si compiace accumulando dentro di noi frustrazione e risentimento.

Dipendenza emotiva: l’origine

Quale è il motivo per cui la personalità entra in questo spazio di dipendenza verso ciò che amiamo? In verità, la dipendenza nasconde sempre un profondo vuoto interiore derivante dalla disconnessione con la nostra parte autentica, con il nostro Sé Superiore.

Tutti noi, in seguito a modelli educativi e sociali castranti, nell’infanzia subiamo un lento processo di allontanamento dalla nostra vera natura. Non ci sentiamo riconosciuti e valorizzati per quello che siamo veramente, per la nostra spontaneità e immediatezza.

Ci devono rendere “adeguati” alla società, attraverso numerose imposizioni riguardo a come si deve essere, a come si deve agire, a come si deve pensare o provare emozioni.

Siamo tutti parte di un grande meccanismo di castrazione. Ecco che in questo processo nasce la sensazione di “non riconoscimento”, che nel tempo crea separazione tra il nostro Sé autentico e la nostra personalità, che si adegua al modello educativo e inizia a comportarsi “secondo i canoni socialmente accettati”.

Questa separazione genera un vuoto, una voragine, che spesso non sappiamo, da adulti, che c’è. Risiede nel nostro inconscio, nelle memorie cellulari, nella parte più sconosciuta di noi. Ma anche se non sappiamo che esiste, il vuoto agisce in nome e per conto nostro.

Agisce creando una realtà di dipendenza. Per la nostra personalità è necessario tenere sedata la sensazione di vuoto, e per farlo individua una compensazione all’esterno di noi.

Quando ci innamoriamo di qualcuno, il vuoto magicamente si riempie. Quando amiamo un animale, o quando vogliamo molto bene all’amico/a speciale, o quando siamo molto affezionati alla nostra casa, quel sentimento diventa un “riempitore” del vuoto interiore.

Compensiamo il vuoto attraverso l’amore verso qualcuno o qualcosa. Questo processo di compensazione genera attaccamento.

Come può la personalità riuscire a lasciare libero l’altro se l’altro è proprio necessario a sentirci bene?

Nel concetto di libertà esiste la possibilità di separazione, almeno su un piano fisico.

Lasciare libero l’altro significa trovare dentro di noi la forza di amare in modo incondizionato e non di dipendere dall’altro.

La libertà è qualcosa che fa paura, proprio perché presuppone di vivere nell’ignoto, nel non sapere cosa accadrà. La dipendenza affettiva invece richiede certezze granitiche e sicurezze illusorie tipo “così è per sempre”.

Guarire dalla dipendenza emotiva significa dunque riconoscere questo vuoto e colmarlo con un processo di riavvicinamento al nostro Sé Superiore, ovvero a quello spazio autentico in cui sentiamo il nostro potere creativo, le nostre risorse e i nostri valori profondi, la connessione con il divino e la volontà di procedere verso il Servizio per il massimo bene nostro e del mondo. Solo così possiamo essere liberi e lasciare tutti gli altri liberi.

La libertà è il frutto del risveglio al proprio Sé.

Come guarire dalla dipendenza affettiva

dipendenza emotiva

Se riconosci in te i sintomi della dipendenza, è necessario procedere con un lavoro di auto-osservazione nel momento in cui la tua personalità entra in contatto con la dipendenza stessa attraverso pensieri, emozioni e comportamenti.

L’auto-osservazione ti permette di accorgerti delle varie sfumature della tua personalità, di percepire il vuoto da colmare e, pian piano, di connetterti con l’energia dell’amore che tutto guarisce.

Una pratica di Mindfulness per uscire dalla dipendenza affettiva

Ecco un esempio di una pratica di Mindfulness utile per innalzare la presenza riguardo alla dipendenza emotiva.

Ogni volta che ti accorgi di manipolare l’altro (attraverso il giudizio, il vittimismo o il compiacimento), fermati da qualche parte, chiudi gli occhi e porta l’attenzione al tuo respiro.

Dopo qualche respiro, diventa consapevole di cosa la tua mente sta pensando, quali sono le sue valutazioni e ipotesi, cosa ti dice.

Resta presente al flusso dei pensieri che si formano in merito alla situazione che stai vivendo, mantenendo alta l’attenzione sulla qualità dei pensieri stessi (sono pensieri giudicanti? sono pensieri di compiacimento? sono pensieri di autocommiserazione?), con la ferma consapevolezza che i pensieri sono solo pensieri, e non sono realtà.

Allo stesso tempo, rimani in contatto con le emozioni che si muovono nel tuo corpo: provi rabbia, risentimento, paura della perdita, paura del vuoto? Oppure provi semplicemente tristezza e sgomento?

Qualsiasi sia l’emozione che si presenta, tu ascoltala nel corpo, connesso al tuo respiro, e resta presente ancora per qualche minuto…

Lascia che la tua attenzione consapevole e la presenza avvolgano pensieri ed emozioni, attraverso il respiro che ti ancora al qui e ora.

Inizia a ripetere (mentalmente) una frase potenziante, come per esempio “Io sono amore e colmo i miei vuoti”, oppure “Io mi prendo la responsabilità del mio vuoto interiore”.

Permetti alle parole di scivolare in profondità, di risuonare con le tue cellule e con le parti psichiche inconsce. Prenditi del tempo per percepire tutto ciò che accade dentro di te.

Ascolta, visualizza, percepisci ogni sensazione interiore, ogni intuizione, ogni risposta che si origina nelle tue profondità.

Quando senti che va bene, ringraziati per questa esperienza, fai 3 respiri profondi e apri gli occhi.

Praticare questo esercizio ti permetterà di sciogliere pian piano tutte le dinamiche che provocano dipendenza affettiva, facendo spazio nel cuore per la libertà e la completezza del tuo Essere.

E’ fondamentale procedere con la “non reazione”: più ci tratteniamo nell’agire la dipendenza affettiva, più creiamo dentro di noi un’energia potente che può trasformarsi in consapevolezza.

Invece, se buttiamo fuori tutto, accusando o criticando l’altro, dissipiamo la nostra forza.

Anziché re-agire verso l’esterno, possiamo agire dentro di noi, attraverso questa pratica di auto-osservazione, e in questo modo inneschiamo un potente processo di auto-guarigione e di risveglio della coscienza unificata.

Dott.ssa Annalisa Chelotti