Provare stima per se stessi, oggi, sembra essere una grande questione da risolvere. Statisticamente la maggior parte dei problemi personali sono legati all’autostima mancante e il 90% delle persone che sono alla ricerca di un percorso interiore si trovano, prima o dopo, a dover fare i conti con questo grande tema: la stima verso se stessi.
Allora le domande giuste, e al momento giusto, che propongo di porvi sono: Ma io quanto mi amo? Che valore dò a me stess@? Quanta stima provo verso di me?
Se non iniziamo a farci, nei momenti maturi, domande mirate, difficilmente cominceremo un viaggio verso la scoperta e la conoscenza di altro oltre la terra di mezzo, monotona e disarmonica. Allora vediamo, insieme, come aumentare l’autostima riducendo le critiche verso se stessi.
Autostima: cos’è e come si può aumentare
Un antico proverbio recita: “Chi si rispetta, sa come farsi rispettare. Chi si stima sa come farsi stimare.”
Se oggi consideriamo la stima solo come qualcosa che meritiamo, a prescindere, perdiamo di vista il vero nucleo della questione; allora apriamo le nostre vedute e scegliamo di prendere una strada non illusoria, autentica e che sviluppi in noi il nostro grande potenziale.
La stima non può essere vista un’esigenza unilaterale, poichè quello che non riusciamo a provare per noi stessi, a prescindere, non tornerà mai a noi, neanche se lo desiderassimo con tutto il nostro cuore.
Stima vuol dire, prima di tutto, amare ciò che facciamo, colmando quell’amore di tutta la pazienza e l’accettazione, senza giudizio; esserci grati per tutto ciò che possiamo mettere in campo considerando i nostri limiti e la nostra vulnerabilità.
Ma attenzione: avere stima di se stessi non vuol dire solo amarci quando sentiamo di aver fatto qualcosa di grandioso, poiché quella è euforia per uno stato di eccitamento che coinvolge il nostro piano emotivo, e che spesso viene manovrato dal nostro ego. La vera stima è quell’allenamento che abbiamo messo in atto, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, che porta la nostra mente a orientare l’attenzione su ciò che è il nostro potenziale e su ciò che possiamo migliorare laddove si consideri di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Faccio un esempio. Prendiamo una madre con un figlio, che potrebbe rappresentare noi con il nostro fare: quando un figlio combina un disastro o sbaglia clamorosamente, anche nei confronti della mamma stessa, ovviamente in quel momento ci sarà una situazione emotiva da gestire, ma, superato il tutto, ciò che non cambierà sarà l’amore che lei prova per il suo figliolo, nonostante l’accaduto.
Così dovrebbe essere con noi stessi. Possiamo certamente “sbagliare” più e più volte, ma ciò che non dovrebbe mai cambiare è l’amore che proviamo verso noi stessi, capiti quel che capiti. Se c’è amore autentico c’è stima, quindi un insieme di valutazioni positive che alzano l’asticella del nostro valore.
Allora torniamo per un attimo a scuola e proviamo a estrarre, da questo concetto, una proporzione matematica:
Amore:Stima=Stima:Valore
In parole semplici potremmo dire che l’amore sta alla stima come essa sta al valore.
Lo dimostra il fatto che se proviamo stima, senza amore, stiamo forzando qualcosa e, dunque, prima o poi finirà per ripiegarsi su noi stessi ingabbiandoci nell’illusione che noi eravamo in grado di fare qualsiasi cosa, con conseguente trauma e delusione del poi.
Ma se il nostro valore personale non ci porta a sentirci in grado di poter riuscire, nella vita, a fare ciò che desideriamo, per quanto amore possiamo provare per noi stessi o per gli altri, saremo sempre un passo indietro verso i nostri obiettivi, vedendoci passare davanti ogni persona che incontriamo e rimanendo, perennemente, gli ultimi in fatto di considerazione.
Come aumentare la stima che abbiamo di noi
Intanto impariamo, come insegna la mindfulness, a osservare un grande nemico occulto della nostra stima, ovvero la critica, che possiamo mettere nel grande calderone del giudizio e che si cela, molto nascosto, sotto plurime spoglie.
In ogni caso l’osservazione dentro noi stessi è l’unico grande strumento che ci permette di vedere quanto la nostra mente sia sempre pronta ad attaccare ciò che il suo programma ritiene essere un obiettivo da demolire (la maggior parte delle cose che facciamo nella vita).
Possiamo dirci anche 100 volte al giorno quanto siamo bravi, quanto valore abbiamo e quanta stima abbiamo di noi, ma se il nostro inconscio reagisce continuamente a programmi preinstallati che riportano solo la nostra incapacità di essere in grado di fare le cose, di non meritare la stima degli altri, di non accettare i propri difetti, beh, mi spiace dare una “brutta” notizia ma abbiamo già perso in partenza.
Dunque non possiamo alimentare, o costruire, la nostra stima se non facciamo, prima, un lavoro di osservazione profonda su quello che possiamo definire il nostro limite più grande: il giudizio, che si manifesta più comunemente come la critica.

Come lasciare andare la critica
Quante volte ci siamo detti, verbalmente o nella nostra mente, quanto avevamo sbagliato nel fare qualcosa? Quanto siamo stati imperfetti o, addirittura, del tutto incapaci?
Bene, se hai provato questo più volte e riesci ad ammetterlo a te stess@ vuol dire che sei a un buon livello di osservazione e presenza verso te stess@. Tutti noi, nel constesto sociale in cui cresciamo, abbiamo nel profondo programmi depotenzianti che mettono continuamente in discussione il nostro saper fare, il nostro saper conoscere e così via…
Se crescessimo, fin da piccoli, con il massimo riconoscimento del nostro potenziale senza fallace giudizio, non potremmo essere allevati in una comunità che ha il bisogno di controllarci e di renderci “schiavi del sistema”.
Questo è un argomento che abbiamo trattato più volte, dunque non lo approfondirò in questa sede, tuttavia è bene che si tenga presente che più rendiamo gli autolimiti proposti dalla società come proprie forme pensiero, convinzioni limitanti, più non riusciremo a fare passi importanti che mirano alla libertà massima di espressione. Per questo la critica interiore può essere decisamente limitante e depotenziante.
E qui mi aspetto la domanda di rito: “Ma mettere sotto critica ciò che facciamo non è fondamentale per crescere e migliorare, in una società che, da noi, pretende sempre il massimo?”
Ottima domanda, vi risponderei, ma non cadiamo nella falsa convinzione che questo debba essere un must che non possiamo mettere in discussione, e notare bene, non parlo di critica verso questo concetto ma solo di apertura alle trattative.
Un conto è chiederci se possiamo fare meglio, se questo è giusto per noi, se davvero abbiamo impiegato tutte le nostre risorse per raggiungere quell’eventuale obiettivo, poi naufragato, un altro conto è criticare il nostro atteggiamento, il nostro modo di affrontare la questione senza via di uscita alcuna, come una forma di timbro da cui non si può tornare indietro: SBAGLIATO!!!
Se uno dei pilastri importanti della mindfulness dice che il lasciare andare è un passo fondamentale, ecco che, una volta riconosciuta la critica, dobbiamo imparare a lasciarla andare, senza se e senza ma.
Quando la nostra mente ci propina il solito, vecchio e rassicurante “no”, impariamo a osservarlo, magari anche contandolo e annotando quante volte, in quella giornata, il pensiero ci ha detto che stavamo sbagliando o che non eravamo per nulla preparati. Una volta appuntato sul diario delle critiche, un po’ come “il diario degli errori” che Michele Bravi ha cantato qualche anno fa a Sanremo (e su quel testo si potrebbe scrivere un lungo e approfondito trattato), facciamo un profondo respiro, o magari anche tre, e ci poniamo la domanda giusta al momento giusto: cosa potrei fare, al meglio delle mie possibilità, ora, in questo momento e per questa situazione?
Una volta lasciata emergere la risposta, ed è matematico che arrivi, allora, semplicemente, la mettiamo in atto puntando solo nella direzione che abbiamo preso; un po’ come decidere di attraversare una via frequentata, ai lati, da gente che mi potrebbe deridere, portando volontariamente la mia attenzione solo verso la meta e respirando a ogni critica sentita, percepita e immaginata, permettendomi, così, di arrivare al mio obiettivo.
E se poi tu che leggi vuoi fare un passo ancora più ambizioso, puoi prendere quelle critiche e, una alla volta, lasciare che si specchino dentro di te per fare emergere la ferita dalla quale quel giudizio sanguina e fa ancora male: a quel punto avrai trovato uno dei veri motivi per cui stai male.
Vedete, la critica non è il vero problema, la vera questione è quanto quella stessa si rispecchia, e quindi duole, sulla nostra più o meno antica ferita. Se noi siamo in grado di auto osservarci, proprio come insegna la mindfulness, buona parte della questione è risolta e non è detto che questo ci possa addirittura far risparmiare anni e anni di analisi psicologica.
Il rapporto tra l’autostima e le critiche verso se stessi
Come in un vero testa a testa, la critica avrà sempre la tensione di spingersi verso la stima, per far sì che essa possa cedere in una disastrosa “bandiera bianca”, una resa per abbandono del campo di battaglia.
Invece il gioco sta proprio nel lasciare senza fiato la critica. Mi spiego meglio. Se la critica, travestimento del giudizio e a cui piace scendere in campo per il solo gusto di contrarietà, dichiara guerra aperta alla stima ed essa cerca il gioco di forza, seguono precisamente queste fasi:
“Ora gliela faccio vedere io, nessuno può dirmi che non sono capace!”
“Si, è vero, le altre volte ho sbagliato ma ora è diverso!”
“Forse mi sa che ha ragione, ma magari si sbaglia..”
“Non ce la farò mai, vabbè, del resto lo sapevo!” oppure “Ora rado al suolo tutto perché mi sono molto innervosit@!”
Ecco che allora abbiamo pienamente fatto il suo gioco.
Se, invece, troviamo il modo di spiazzarla, lo scenario può cambiare totalmente.
Vi faccio un esempio con un dialogo tra critica e stima.
Critica: “Inutile che ci provi, tanto non ce la fai…”
Stima: …………
Critica: “Perché non parli? Non sai neanche cosa rispondere...”
Stima: …………
Critica: “Ma mi stai ascoltando? C’è qualcuno che qui mi ascolta?”
Stima: …………
Critica:”Forse mi sa che oggi ho esagerato...”
Stima: ………..
Critica: “Vabbè, dai. Magari ripasso la prossima volta”
Stima: “Ora metto in atto tutte le mie risorse per fare, al meglio, il meglio che posso nel qui e ora, vada come vada”
Il testa a testa serve solo per incrementare il fuoco della rabbia o lasciarci vittima, perché anche se in quella singola partita la stima può avere la meglio, la critica, successivamente, troverà il modo per rinforzarsi e saprà comunque cogliere il nostro momento più debole.
Altresì, invece, se noi creiamo il vuoto dentro di noi e lo riempiamo, successivamente, di intenti chiari e senza esitazione, la strada è spianata e il risultato, ve lo assicuro, sarà stabile e duraturo, il che non vuol dire che avrò terminato le mie battaglie, ma che, semplicemente, sarò sulla strada della “guarigione”, passo dopo passo, lontano dal rimuginio della mia mente.

Aumentare l’autostima: esercizi mindfulness
Esistono vari esercizi mindfulness che possono aiutare in questo particolare frangente, e io, oggi, vi propongo la meditazione delle due frecce.
Assumi una posizione per te comoda, seduta o sdraiata, purché non rischi di addormentarti, e chiudi gli occhi, se possibile.
Inizia portando l’attenzione al respiro e fai, per cominciare, almeno tre respiri profondi, senza sforzo alcuno. Continua con questa pratica del repiro per almeno 5/7 minuti, a seconda dell’esperienza che hai nel lasciare andare la mente, portando la tua attenzione solo ed esclusivamente al tuo respiro.
Osserva il tuo respiro nel punto del corpo che preferisci:
• nella pancia, sentendo l’addome che si alza e si abbassa;
• nelle narici, sentendo l’aria che entra e che esce attraverso di esse;
• nel petto, sentendo il movimento del torace, l’espansione e la contrazione.
Quando ti accorgi che la mente vaga e si è allontanata dal respiro, nota dov’è andata, osserva cosa l’ha distratta e poi, delicatamente, riporta l’attenzione al respiro, con pazienza. La mente vaga e tu la riporti amorevolmente indietro.
Cerca di restare consapevole delle sensazioni che ogni ispirazione ed espirazione produce, e seguile nei loro cambiamenti, con curiosità e interesse.
Dopo 5/7 minuti, quando la tua mente si sarà stabilizzata un po’, lascia che il tuo respiro finisca sullo sfondo e inizi a portare le critiche in primo piano (se vuoi puoi selezionarne una in particolare).
Dirigi la tua attenzione sulla sensazione giudicante nel suo insieme. Attraverso il respiro prova a rilassarti, sintonizzandoti sulle sensazioni fisiche che stai provando.
Ora cerca di osservarne la natura: se sono sorde, pulsanti, acute, trafiggenti o brucianti.
Dopo aver individuato ciò che senti, rivolgi la tua attenzione focalizzata al punto preciso in cui il fastidio è più intenso. Prova a osservarlo minuziosamente, come hai già fatto con il respiro, con curiosità. Non devi cercare di modificarlo ma solo vederlo con maggiore chiarezza.
Presta attenzione a come le sensazioni spiacevoli mutino anche quasi impercettibilmente, attimo dopo attimo.
Per esempio è possibile che tu possa provare una fitta sorda, che subito assomiglia più a un bruciore, per poi mutare nuovamente.
Nota come quello che appare come un disturbo continuo, in realtà, sia composto da una serie di sensazioni concatenate, una dopo l’altra.
Se dovesse presentarsi un dolore troppo intenso potrebbe accadere che ti senta sopraffatt@ e desideros@ di sfuggire da ciò che stai provando, per esempio. Se dovesse accadere, comunque, riporta l’attenzione alle sensazioni complessive di fastidio o al respiro. Successivamente, torna al punto in cui risiede precisamente il tuo dolore.
Mentre stai con le sensazioni dolorose, osserva i pensieri che si presentano alla tua mente.
Che tipo di pensieri sono? Prova a mettere un’etichetta su ognuno di loro: paura, angoscia, irrequietezza, odio, timore… probabilmente quelle sono le tue prime frecce.
Osservando i pensieri, scoprirete che vanno e vengono, indipendentemente dalle sensazioni dolorose che provate in quel determinato istante, e che non hanno niente a che vedere con, realmente, ciò che voi siete in grado o non in grado di fare.
Attraverso la mindfulness impariamo ad accettare le esperienze e gli accadimenti negativi senza farci colpire da una seconda freccia, da qui il nome della meditazione delle due frecce che deriva dal discorso della freccia del Buddha in cui egli stesso fa la distinzione tra le due frecce che colpiscono l’uomo. Le esperienze negative che si presentano nella nostra vita rappresentano una freccia improvvisa che, colpendoci, causano un forte dolore emotivo. Ma è solo la prima freccia, quella che non possiamo evitare, la quale ci lascia lo stampo di un ricordo che può diventare limitante e fuorviante.
Dunque possiamo dedurre che l’autostima si nutre di accettazione, non giudizio, fiducia, e necessita di una mente da principiante, cioè di colui o colei che non mette pregiudizi, e in ultimo, ma non certo per importanza, ha una grande necessità di compassione.
A questo punto termino dicendo che Amore e Gratitudine sono le principali “medicine” naturali che funzionano sempre, parola di Luca.