Se impariamo a coltivare la presenza nelle conversazioni, stiamo sviluppando il cosiddetto ascolto empatico, e allo stesso tempo riusciamo a rispondere in modo empatico.
Dunque, a questo punto possiamo di nuovo chiederci che cos’è l’empatia e come mai è così importante per vivere delle relazioni più sane e nutrienti. Riguardo la sua etimologia, la parola empatia deriva dal greco en (dentro) – pathos (sentimento o sofferenza), e pare abbia origine nell’ambito delle rappresentazioni teatrali dell’antica Grecia, per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che si creava tra l’attore e il pubblico.

I tre livelli di empatia
Esistono tre tipologie di empatia che possono essere descritte come segue:
– empatia di tipo cognitivo: quando parlo con una persona, capisco razionalmente cosa mi sta dicendo e cosa sta provando mentre me lo dice, ma io non sento nessun tipo di emozione dentro di me: il filtro principale che utilizzo è quello della mente logica, per cui su questo piano di relazione tendo a rimanere più in superficie, a non scendere in profondità, per cui è difficile che io possa essere realmente utile all’altra persona perché sarò in grado di darle solo un feedback cognitivo, senza “calore” umano.
– empatia di tipo emotivo: mentre una persona mi parla, io sento con lei l’emozione che prova, ossia avviene una risonanza dei corpi emotivi per la quale avverto nel corpo la stessa emozione che sta vivendo il mio interlocutore; in questo caso, il piano della relazione è un po’ più profondo, ma comunque non del tutto ancorato al cuore; in questo tipo di empatia, può succedere che il racconto emotivo di una persona richiami dentro di me una mia esperienza simile (anche solo in qualche dettaglio) e quindi sento un’emozione simile alla persona che mi sta parlando, ma in realtà quell’emozione è mia. Non sempre ci accorgiamo di questo dettaglio, pertanto anche questo tipo di empatia rischia di non essere del tutto utile alla persona con cui comunichiamo.
– empatia compassionevole: in questo caso invece riesco ad attivare l’intelligenza del cuore, accedendo a stati d’animo di origine più sottile e spirituale, come per esempio la compassione; sento nel cuore che sono insieme al cuore della persona e che da questo spazio la posso sostenere, aiutare, “servire” in ciò che le è più utile in quel momento. Questo tipo di empatia può svolgersi anche nel totale silenzio, perché è più uno stato di coscienza che un processo di comunicazione. Aiuto la persona tramite la mia presenza nel cuore che mi permette di sentire pienamente le sue emozioni, le mie emozioni e accogliere tutto questo nella comprensione cardiaca. Il livello della relazione qui è molto più profondo, ciò che accade è una vera e propria comunicazione da Anima a Anima.
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La connessione da cuore a cuore
Il livello massimo di apertura nella relazione con gli altri è garantito dalla connessione con la nostra Anima.
Più siamo presenti, più siamo attenti, più siamo vivi mentre parliamo con gli altri, e più riusciamo a parlare con la voce dell’Anima, andando ancora oltre il concetto di empatia: in questo modo siamo a contatto cuore a cuore con l’altro, cioè stiamo comunicando sul piano “cardiaco”, sentiamo l’altro e lo vediamo per quello che realmente è.
Il significato della parola Namasté, tipico saluto dei popoli orientali, è “io ti vedo”.
Attivare la connessione cardiaca ci permette di poter dire davvero io ti vedo, vedo chi sei aldilà della tua personalità, vedo e percepisco la tua Anima e io ti comunico dalla mia Anima.
Un simile messaggio è contenuto anche nel film Avatar, in cui gli abitanti del pianeta Pandora si salutano guardandosi negli occhi e dicendosi reciprocamente “io ti vedo”.
Entrare in contatto con gli altri da questo spazio ci permette di rendere davvero nutrienti le nostre relazioni, e soprattutto di porci in un’ottica costante di Servizio, cosa che è naturale nel processo di risveglio della consapevolezza: man mano che ampliamo la nostra coscienza, sempre più ci mettiamo spontaneamente al servizio degli altri.
La comunicazione attraverso l’empatia compassionevole è descritta in modo molto interessante nel libro “La via del cerchio: il dialogo e la democrazia della comunità” di Manitonquat, filosofo, poeta e insegnante americano che ha vissuto a stretto contatto con i nativi d’America. Nel libro è descritto il metodo del cerchio, che presuppone la partecipazione di un gruppo in modo preciso: ognuno parla solo quando detiene il cosiddetto “bastone della parola”, e gli altri rimangono in silenzio, ascoltando. In questo modo tutti possono esprimersi liberamente, hanno il tempo necessario per parlare senza essere interrotti o giudicati, e a loro volta possono ascoltare tutti gli altri componenti attraverso uno stato di presenza e di apertura del cuore.
Questo strumento è risultato utilissimo in molte realtà collettive, per poter gestire meglio i conflitti, prendere decisioni più ponderate, confrontarsi più profondamente, coltivando un vero modello democratico all’interno dei gruppi.