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Come vivere la gravidanza con serenità e armonia grazie alla Mindfulness – Parte Prima

Nella nostra attuale società, la gravidanza viene vissuta in un modo differente rispetto al passato: dal momento in cui una donna scopre di essere incinta, inizia un iter medicalizzato molto simile a quando una persona scopre di aver sviluppato una malattia.


Viene fornito un libretto in cui sono elencate una serie di analisi mediche, da compiere a cadenze precise, e che variano anche in base all’età della gestante; da lì è tutto un susseguirsi di prelievi del sangue, ecografie, controlli ginecologici, fino ad arrivare a esplorazioni piuttosto invasive per accertarsi che il piccolo non abbia problemi di sorta. 

Ma la domanda è: come viene vissuto tutto questo dalla futura mamma, soprattutto dal punto di vista emotivo?

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La gravidanza come passaggio naturale o come malattia da curare?

Prima che l’essere umano si allontanasse così tanto dalla sua vera natura e diventasse più simile a una macchina, ogni giovane donna aveva l’opportunità di ricevere saggi insegnamenti dalle donne più anziane della comunità di appartenenza (fosse questa la tribù, il villaggio o la famiglia allargata), soprattutto in merito all’utilizzo dell’energia femminile, alla sfera della sessualità e della gestazione.

 

I cerchi di donne servivano per creare sorellanza e comunione di esperienze, erano un grande strumento evolutivo che permetteva a tutte di sentirsi parte di un gruppo che sosteneva, cooperava e assisteva nel momento del bisogno. C’erano affari che riguardavano le donne, e affari che riguardavano gli uomini, e in questa suddivisione non esisteva un meglio e un peggio, semplicemente esisteva la diversità, e veniva rispettata e valorizzata.

 

Dunque le donne si occupavano di condividere gli aspetti legati al ciclo mestruale, in tutte le sue sfaccettature, alla gravidanza e alla cura dei neonati per i loro primi mesi di vita. La neo mamma partoriva insieme alle donne della famiglia o della comunità, veniva sostenuta e accolta, veniva preparata anche a livello emotivo e spirituale, all’accoglienza del piccolo. 

Poi pian piano, dietro l’illusione di un progresso portato all’estremo, le comunità sono scomparse lasciando il posto a grandi città in cui le persone sono sempre più sole; la medicina si è trasformata da arte a insieme di protocolli in cui si è semplicemente un sintomo o una malattia, e la sorellanza è rimasta sepolta sotto una coltre di invidia e competizione, tipiche dell’energia maschile distorta del patriarcato.

 

Ecco che, in questa cornice sociale, la gravidanza è diventata appannaggio degli ospedali e di medici che spesso scelgono la professione per soldi anziché per vocazione. Da più di 50 anni ormai, il parto avviene in una specie di sala operatoria, in una posizione del tutto innaturale, in mezzo a personale sanitario che nella maggior parte dei casi non conosce nemmeno cosa significhi l’empatia. Tutto questo ha conseguenze piuttosto gravi sia sulla gestante sia sul piccolo, che viene al mondo circondato da luci artificiali e odore di disinfettante, viene poi separato dalla madre e tenuto in una stanza insieme ad altri neonati, se non nel momento dell’allattamento, per almeno tre giorni.

 

Siamo arrivati spesso a pianificare dei parti cesarei senza una reale necessità dal punto di vista dei rischi derivanti dal parto naturale, ed è sorprendente l’assenza di una qualsiasi attenzione agli aspetti emotivi ed energetici che si muovono dentro i due principali protagonisti (madre e figlio). Non c’è consapevolezza riguardo l’impatto traumatico sulle memorie cellulari dei neonati che purtroppo può generare questo tipo di esperienza.

 

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L’Impatto della medicalizzazione nelle donne in gravidanza

Se una donna è in contatto con le parti più profonde di sé, di solito ha sviluppato una certa sensibilità nel percepire i segnali del suo corpo, e spesso quindi accade che si accorge da sé di essere incinta, ben prima che un test di farmacia possa dimostrarlo.


Inoltre, una donna che è in contatto con la sua Anima, è in grado di vivere la gravidanza come succedeva un tempo, con tutta la sacralità possibile, e vive i nove mesi come un periodo di grande introspezione: tende ad avere rispetto di sé mangiando e riposando a sufficienza, ascoltando i bisogni del corpo, entrando in contatto telepatico con il piccolo, nutrendo sentimenti di gratitudine, di gioia e di meraviglia; cerca di circondarsi di altre donne simili che possano sostenerla e condividere con lei questo viaggio; si nutre dell’energia protettiva del suo partner e lascia a lui il compito di provvedere ai bisogni materiali per tutto il tempo necessario.


Purtroppo oggi sono poche le donne in contatto con la propria Anima, a causa dei forti condizionamenti sociali che ci spingono a credere di essere la nostra mente, i nostri pensieri, i nostri comportamenti meccanici. Le donne che vivono nell’addormentamento della coscienza e che sono identificate con le loro convinzioni mentali, sono anche più manipolabili dalle informazioni e dalle regole della società stessa, dunque sono a loro volta convinte che sia normale affrontare una gravidanza come se fosse una malattia, si affidano completamente alla medicina senza porsi molte domande e spesso vivono questi mesi con grande apprensione, ansia e paura di ciò che accadrà.


Proprio per questo si lasciano fare qualsiasi tpo di analisi medica che viene loro suggerita, talvolta mettendo a repentaglio la gravidanza stessa, come purtroppo succede con l’amniocentesi. Queste donne ignorano l’importanza di avere altre donne intorno a sé, e vivono spesso in solitudine, senza riuscire a condividere con nessuno i loro stati emotivi e le loro preoccupazioni. 

Nei cosiddetti corsi pre-parto, si da più importanza alle spiegazioni tecniche di cosa potrebbe avvenire piuttosto che alla trasmissione di pratiche e di conoscenze utili a vivere il momento del parto in modo sereno e con sacralità.

Ogni donna ha il diritto (e forse anche il dovere, nei confronti del figlio che porta in grembo) di chiedersi se esiste una modalità differente e più funzionale per affrontare questi nove mesi e la successiva esperienza del parto. Chi trova il coraggio di farsi queste domande e di andare a cercare le risposte, si da il permesso di compiere un atto evolutivo molto potente. 

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