Ogni anno, il Festival di Sanremo piomba come un invadente meteora che occupa tutto lo spazio possibile in un tempo limitato e, nello stesso tempo, nel “sempre tempo”, richiamando, in ognuno di noi, ricordi, emozioni e sensazioni musicali a tratti dalle note più gravi, profonde, ad altri tratti dalle note più acute, stridule e ipnotiche.
Ma, che ci piaccia oppure no, Il Festival della Canzone Italiana non è solo un evento musicale sempre più pilotato e artefatto nelle sue esecuzioni, ma anche una finestra sulla nostra società, un termometro che misura le emozioni, le inquietudini e le speranze collettive. Attraverso i testi delle canzoni che salgono sul podio, possiamo tracciare una sorta di ritratto culturale del momento, una fotografia dell’anima collettiva del Paese.
Anche io sono cresciuto con SanRemo, e a essere del tutto sincero, il mio sogno è sempre stato quello di poter assistere, in teatro, alla manifestazione. O, ancor più in segreto, ho sempre sognato di poter calcare la scena di quel palco, un palco a volte tanto odiato e a volte tanto amato. Del resto tutto ciò che desideriamo, se impossibilitati ad averlo, per un motivo o per un altro, è destinato a diventare qualcosa verso cui costruire tutto il nostro disprezzo, allontanandoci da esso con grande sufficienza e superiorità.
Ed ecco che sul grande tema di SanRemo c’è chi lo odia, c’è chi lo ama, e c’è chi proprio non lo capisce.
Tuttavia, a parte tutto il costruito che si cela dietro le esibizioni, dalle inquadrature studiate in dettaglio e sempre le stesse per ogni esibizione, alle mosse dei cantanti preparate a tavolino per lasciare il segno “simbolico” nel nostro inconscio, agli abiti e i look scelti con scopi ben specifici, sia commerciali che di “linguaggio non verbale”, bene, a parte tutto questo, una tradizione superlativa della kermesse rimane l’esibizione dal vivo con l’accompagnamento di una straordinaria orchestra sinfonica, seppur negli anni la musica elettronica stia sempre più contaminando le composizioni.
Dunque, anche quest’anno ho assistito alla finale e una cosa mi ha piuttosto sorpreso: i tre vincitori uomini, ognuno con una caratteristica specifica, ognuno con un valore che può rimettere insieme i pezzi dell’uomo contemporaneo, tanto attaccato nella sua mascolinità da un lato, e nella sua fragilità dall’altro lato.
Tutte e tre le canzoni premiate raccontano una storia in tre atti, quasi una piramide emotiva che parte dalla sofferenza dell’amore, passa per la consapevolezza dei limiti umani e arriva, infine, alla trasformazione attraverso l’amore filiale. Una storia di verità e di passaggio tra l’archetipo del ferito che si trasforma in umile e, poi, diventa forte e protettivo.

Al vertice della piramide: la sofferenza dei sentimenti
Il brano vincitore di quest’anno, “Balorda Nostalgia” di Olly, esplora il dolore e la malinconia derivanti dalla fine di una relazione amorosa. Il testo riflette sulla difficoltà di accettare la separazione e sulla nostalgia che permea i gesti quotidiani, come apparecchiare la tavola per due o cercare la presenza dell’altro in casa. Questa canzone mette in luce la fragilità delle relazioni moderne e la solitudine che spesso ne consegue.
“E tu chiamala se vuoi la fine
Ma come te lo devo dire
Sta vita non è vita senza te”
Relazioni al bivio, relazioni alla fine, relazioni che lasciano un sapore di grande nostalgia. Una nostalgia raccontata da sempre dai nostri cantanti italiani, da “Nostalgia canaglia” di Albano e Romina nell’87, o nel ‘79 Loretta Goggi che cantava “Tu mi fai girare la testa (nostalgia)” e ancora, nel ‘69 Don Backy con “Nostalgia”. Quanto è cambiato, da allora, su questo tema? Nulla, perché l’Amore è sempre Amore, e quando lo perdiamo non possiamo che provare Nostalgia, un misto tra la tristezza e la gioia, amara, ma pur sempre gioia.
Secondo gradino: il riconoscimento dei limiti umani
La canzone classificatasi al secondo posto, “Volevo essere un duro” di Lucio Corsi, affronta il tema della vulnerabilità personale. Il testo narra la storia di un individuo che aspira a mostrarsi forte e invulnerabile, ma che alla fine riconosce e accetta le proprie debolezze. In una società che spesso esalta l’invincibilità e la perfezione, questo brano rappresenta un invito a riconoscere la propria umanità e a trovare forza nell’accettazione dei propri limiti.
“Perché in fondo è inutile fuggire
Dalle tue paure
Vivere la vita è un gioco da ragazzi…
… Io volevo essere un duro
Però non sono nessuno
Non sono altro che Lucio. “
Un atto di grande umiltà, di grande responsabilità verso se stessi, che mostra il vero coraggio nell’attraversare i lati ombra presenti in ognuno di noi. Riconoscersi fallaci e umani, e non macchine artificiali e impeccabili: grande tema-prigione degli adolescenti di questa epoca a confronto con genitori che inneggiano alla performance e non accettano la debolezza umana (in primis la propria, ovviamente).
La base della piramide: l'amore che trasforma
Al terzo posto, “L’albero delle noci” di Brunori Sas celebra l’amore da genitore e la trasformazione che esso porta nella vita di una persona. Il testo descrive la gioia e la responsabilità di diventare genitori, e come questo ruolo offra una nuova prospettiva sulla vita e sul futuro. In tempi di incertezza globale, la canzone offre un messaggio di speranza, sottolineando l’importanza di costruire un mondo migliore per le generazioni future.
“Sono cresciuto in una terra crudele dove la neve si mescola al miele
E le persone buone portano in testa corone di spine
Ed ho imparato sin da bambino la differenza fra il sangue e il vino
E che una vita si può spezzare per un pezzetto di carne o di pane
E a tutta questa felicità io non mi posso abituare”
Quanto si può essere forti e nello stesso tempo fragili quando una vita “dipende” da noi, quando una vita nasce da noi, quando una vita prende spunto da noi e, poi, prende il volo in solitaria. E quanto si diventa adulti in questo processo, lasciando andare una parte infantile di noi che vive nell’eterno ricordo dei suoi traumi. Eppure arriva un momento per tutti in cui, per poter diventare adulti che si prendono cura degli altri, dobbiamo diventare adulti che si prendono cura di noi stessi.
“Per paura di farti soffrire
Vorrei cantarti l’amore, amore
La notte che arriva nel giorno che muore
Senza cadere
Nella paura di farti male
Sono cresciuti troppo veloci questi riccioli meravigliosi
E ora ti vedo camminare con la manina in quella di tua madre
E tutta questa felicità forse la posso sostenere
Perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore
E posso navigare sotto una nuova stella polare”
Sanremo come specchio della società
Analizzando queste tre canzoni, emerge un quadro interessante della nostra epoca, tanto distopica quanto altalenante. Viviamo in un tempo segnato dalla fragilità emotiva, dalla necessità di accettare la propria vulnerabilità e dalla ricerca di significato attraverso le relazioni autentiche. Viviamo in un tempo in cui noi tutti facciamo fatica a stare nel nostro dolore, ma proprio passando attraverso di esso possiamo crescere e diventare adulti, come in una metamorfosi dalla forza inarrestabile. Chi si ferma in uno dei tre stadi rischia di rimanere sotterrato dai suoi meccanismi, ma se si riesce ad andare avanti, lì si trova la vera libertà e la scoperta di un nuovo, meraviglioso mondo dentro e fuori si sé.
A dispetto di tutte le tremende verità che si celano nel nostro mondo contemporaneo, a onor del vero, non possiamo non ammirare anche il bello. E come in un gioco di colori, tra lo Yin e lo Yang di un Tao dalle perfette forme auliche, tanta bellezza si mischia a tanta manipolazione. Non ci resta che aprire bene gli occhi e guardare con gli occhi della Verità.