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Le impronte di nascita: comprendere l’origine e riparare le ferite

Cosa succede quando un’Anima si incarna e incontra la materia?

Quali sono le esperienze che ogni essere umano vive nel momento in cui entra a contatto con la vita?

 

La nascita rappresenta da sempre un mistero insondabile. La nostra mente da tutto per scontato, in particolar modo ciò che conosce e che rappresenta la “normalità”. Dunque, essendo abituati all’idea che i bambini nascono ogni giorno, non ci interroghiamo sui processi psicobiologici che accadono durante il periodo di gestazione, e abbiamo perso il contatto con la sacralità di tale grandioso miracolo.

 
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L’antico e il moderno a confronto

I popoli nativi vivevano l’arrivo di una nuova vita in modo del tutto diverso: quando una coppia sentiva il momento di incontrarsi per generare un figlio, si connetteva al senso del sacro e al centro del cuore, facendo l’amore in modo rituale, in presenza, e con la consapevolezza di essere al servizio di qualcosa di più grande. La donna sentiva la vita pulsare nel suo corpo ancor prima di rendersi conto del ritardo del ciclo mestruale. La comunità veniva informata e tutti partecipavano alla creazione di un rituale festoso, sacro, per accogliere il nuovo arrivo ancor prima della nascita. C’era un sostegno collettivo, un amore condiviso da tutti. La nascita rappresentava paradossalmente la fine di un processo, più che solo l’inizio della vita del piccolo. Un processo di accoglienza, di apertura, di protezione, di preghiera. 

Un esempio di questo approccio coscienziale lo possiamo trovare ancora oggi in alcune parti del mondo, in cui si sono conservate le radici della spiritualità intesa come contatto con il divino interiore, il mistero dell’oltre, del prima e del dopo la vita. Per esempio, gli Himba utilizzano il canto come rituale. La madre sente nel cuore il canto del piccolo nel momento in cui avverte che nel suo corpo si sta annidando una nuova vita. Tutti partecipano al canto collettivamente. E per tutta la sua esistenza, quella creatura avrà il suo personale canto di riferimento, che la aiuterà nei momenti difficili, la allieterà nei momenti gioiosi, la accompagnerà nell’ora della sua morte. 

Nella nostra società invece la gravidanza e il parto vengono vissuti alla stregua di una malattia: decide di analisi cadenzate, libretti sanitari da compilare, sale parto che non hanno granché di diverso dalle normali sale operatorie: fredde, piene di attrezzatura metallica, abitate da medici e infermieri che purtroppo nella maggior parte dei casi non sanno nemmeno cosa significhi empatia. Molte donne si trovano a vivere in modo sterile e privo di vicinanza emotiva il momento più importante della loro vita. Vedono venire alla luce il loro bambino tra luci accecanti, camici e mascherine, maniere frettolose e impersonali. 

Senz’altro la moderna medicina ha permesso una drastica riduzione delle complicazioni e dei rischi di salute della madre e del piccolo. Oggi con il cesareo e altre metodologie si possono salvare molte vite. Un tempo questo non era possibile. Ma la vera domanda è: come mai il progresso medico non può andare di pari passo con uno stato di coscienza che permette di vivere la gravidanza e il parto in modo sacro e amorevole?

 

I riflessi sulla nostra esistenza terrena

Al di là di queste riflessioni riguardanti l’impostazione della nostra società, ciò che davvero ci interessa è comprendere cosa succede a ognuno di noi durante quel tempo così particolare che va dal concepimento alla nascita, quali sono le vere conseguenze sul nostro benessere della sconnessione dal senso del sacro. 

Numerosi studi neuroscientifici ci portano oggi la consapevolezza che in quel tempo il nostro corpo registra delle impronte, che influenzano poi l’intera esistenza. 

Le impronte sono una sorta di memorie cellulari, delle tracce somatiche e sensoriali che si imprimono dentro di noi in base all’atmosfera che circonda il nostro arrivare sulla Terra, il modo con cui siamo stati concepiti, il modo con cui siamo nati. 

Nella vita diventano una sorta di filtro attraverso il quale percepiamo il mondo. Riceviamo di fatto un imprinting somatico sulla base di come siamo stati pensati, voluti, attesi, sulla base delle emozioni e dei pensieri di nostra madre e delle altre figure della famiglia, sulla base delle circostanze oggettive che la madre ha vissuto, sulla base di cosa è avvenuto durante il parto e nei primissimi giorni di vita.

Dopo l’attentato delle torri gemelle, molti bambini nati da donne che avevano assistito alla tragedia, mostravano segni di traumi e vissuti angoscianti. Questo fenomeno ha attirato l’attenzione della comunità scientifica, e gli studi di questi ultimi 20 anni ci portano un risultato sconcertante: lo zigote, l’embrione, il feto e il neonato sono dotati di un’intelligenza somato-sensoriale capace di registrare dentro di sé delle impronte sulla base del vissuto. Un sentire vibrazionale, fatto di frequenze elettromagnetiche, di percezioni sensoriali, in un’epoca in cui siamo un impasto di carne e spirito.

Alcuni studi mostrano che quando uno spermatozoo feconda un ovulo, quest’ultimo, per un istante, emette luce, come una “scintilla divina”. Le due cellule si sono riconosciute, si sono scelte…e quell’energia sprigionata sancisce la loro unione.
L’anima è stata chiamata ad incarnarsi, a prendere una forma.. e da quell’istante inizia la sua “discesa” in questo mondo, in questa dimensione. Da singola cellula omozigote a individuo completo.
Il tempo che intercorre tra questo momento e la nascita è decisivo; in questo tempo si creano le premesse dell’esistenza che verrà, dell’adulto che verrà.
Le impronte di nascita rappresentano proprio questo; esse sono quelle premesse, sono gli elementi di quel giungere che ci portiamo dietro per tutta la vita e che ci caratterizzano. Costituiscono i segni distintivi di questo nostro primo importante viaggio.
Le impronte di nascita raccontano tutto questo, raccontano il nostro viaggio, le nostre prime impressioni di questo “esserci”. Esse ci parlano di relazione, di accettazione, di rifiuto, di fatica, di difficoltà, di calore, di gioia, di senso di appartenenza, di senso di vuoto, di abbandono, di accoglienza… sono come piume che si posano leggere sulla nostra coscienza e che rimangono indelebili nella memoria di ogni singola cellula del nostro corpo.
Raccontano chi siamo e chi diventeremo: saranno portavoce delle nostre paure, resistenze, difese, dei nostri limiti e della nostra percezione di noi stessi e del mondo.

 
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La liberazione attraverso il re-imprinting

Dobbiamo tornare lì se vogliamo darci la possibilità di esistere davvero, di manifestarci nel nostro Essere, non solo di sopravvivere.
Dobbiamo ricontattare e riscrivere le nostre impronte di nascita per poterci amare davvero, per poter finalmente prenderci cura di quel piccolo essere che al tempo non aveva gli strumenti per farlo da solo, che era semplicemente indifeso, in balìa della vita.

Dobbiamo tornare lì per riunire tutti i pezzi della nostra anima frammentata, per poterci guardare allo specchio e sentire che ci siamo.

Oggi, grazie a grandi neuroscienziati come la dott.ssa Erica Poli e il dott. Jean Philipe Brébion, oltre che ai grandi psicodinamici Winnicott, Bowlby ecc., possiamo riparare concretamente tutto questo. Sappiamo che è possibile attraverso un lavoro profondo e delicato, condotto da terapeuti competenti e sensibili, che prevede un processo di re-imprinting, ossia un’esperienza somatica, emotiva, sensoriale, analogica, per rivivere il concepimento, il tempo della gestazione e la nascita, in modo da integrare qualsiasi vissuto e trasmutarlo in consapevolezza, amore, accettazione, gratitudine. 

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