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Alter Lux – Mano nella mano

Cap. III

“Ben tornato a casa!” dissero…

Scosso da un tremore interno fatto di brividi, ero colto da una sorta di frenesia nell’oltrepassare la struttura di vetro che mi separava da loro.

Ma in un frammento prima che io mi accorgessi, consciamente, che il mio corpo si stava agitando, qualcuno mi disse, molto chiaramente, che dovevo avere pazienza e di aspettare che io potessi interagire, senza rischi, con l’aria contenuta nella navicella.

Dunque era davvero, come avevo intuito, in una sorta di cella di presaturizzazione. La voce che continuava a comunicare con me telepaticamente mi spiegò che, provenendo dalla Terra, avevo bisogno di adattarmi alla nuova forma atmosferica presente nella loro dimensione.

A raccontarlo ora, in effetti, forse mi sarei dovuto preoccupare o, quanto meno, mi sarebbero potute venire in mente un sacco di domande da fare, in merito a tutto quello… E invece, ero talmente immerso in uno stato di estasi, di quiete e pace interiore che mi facevano vivere quegli istanti come fossero lunghi un’eternità (questo, in particolare, è uno degli effetti più impattanti che si provano nell’attraversare la linea del tempo).

Ho un ricordo molto scolpito nella memoria, come fosse oggi, della mia mano che tocca il vetro della capsula e qualcuno al di là del vetro che sovrappone, esattamente nella stessa posizione, la sua mano sulla mia… ma immediatamente la scena cambia ed eccomi volare sopra la Madre Terra, insieme a quel qualcuno che ancora non riuscivo a riconoscere.

Ero fianco a fianco con lui e mi stava mostrando una linea temporale della nostra Madre Terra. Ricordo, con la testa rivolta verso il basso, di aver visto tanta di quella sofferenza che il mio cuore faticava a reggere. Per certi versi mi sembrava di vedere una scena della pellicola cinematografica  “Nosso Lar”, ma anche uno spaccato riconducibile all’Inferno di Dante nella celebre opera “La Divina Commedia” : c’erano melma e fango con molta gente che soffriva, si lamentava e si dimenava, cercando di uscire da quel pantano ma senza riuscita alcuna.

Attratto da quella immagine di infinita sofferenza, finalmente ho iniziato anche io a interagire con il mio compagno viaggiatore al quale ho chiesto perché non scendavamo ad aiutarli. Questa fu la sua risposta: “Ciò che tu stai vedendo, ora, è l’illusione della sofferenza. Quelle persone davvero soffrono, certo, ma perché sono totalmente identificate con la loro sofferenza de permettere a essa di manifestarsi, proprio come una forma pensiero che si rende autonoma e solida sfruttando l’energia dell’Anima che ne viene risucchiata. Bada bene, dunque, se davvero vuoi andare ad aiutarli poiché il toccare loro è come toccare la loro sofferenza, dunque, il rischio è quello di rimanerne coinvolto a tal punto da perdere la strada verso la consapevolezza, rimandendo tu stesso vittima di quell’illusione e perdendo, dunque, la tua centratura.”

Evidentemente mi deve aver visto molto sorpreso da tuto quello che mi stava dicendo, così decise di mostrarmi altro… e in un men che non si dica ho proprio visto la linea della terra ribaltarsi, esattamente al contrario, come se ciò che vedevo prima avesse un suo speculare che ora mi era mostrato davanti agli occhi, e il tutto si manifestava in un paesaggio fatto di meraviglia incontaminata, aggregazione e solidarietà, felicità e serenità: un vero paradiso in terra!

“Ciò che stai vedendo ora è l’altra faccia della medaglia, l’altro polo della scelta. Dunque scegli: vuoi impantanarti nella sofferenza o prendi la decisione di farti pervadere dalla bellezza di tutto ciò che vive e vibra in ogni particella d’amore del Creato?”

Era tutto molto chiaro. Avevo appena visto, forse in maniera simbolica, ciò che tutti i giorni siamo chiamati a fare: scegliere se soccombere nella sofferenza o essere creatori di bellezza, costruttori del mondo Nuovo.

Il volo era straordinariamente leggiadro ed emozionante. Non credo di riuscire a spiegare, a parole scritte, come ci si sente nel prendere il volo, ma so di averlo fatto tante e tante volte. Mi ricordo, in particolare, che quando ero piccolo sognavo spesso di trovarmi in casa a sollevarmi in aria tra le stanze, o nella via sotto casa, vicino al lampione che, timido, illuminava la strada. Un attimo prima prendevo leggermente una rincorsa e poi, come una specie di accordo con l’aria, mi lasciavo innalzare. Il primo impatto era sempre quello di traballare, come alla necessità di dover assestare, in qualche modo, il corpo, ma poi tutto risultava essere fluido e io potevo tranquillamente godermi il viaggio.

Esattamente quello che stavo facendo in quel momento. Mi sentivo colmo di gioia, sicuro e con al mio fianco qualcuno che sentivo essermi molto vicino. Ma chi era, lui, davvero? Ancora non lo avevo capito.

“Vieni, Luca, ora ti mostro la stanza delle Infinite possibilità”.

“La stanza delle Infinite possibilità?” Ripetei, esattamente parola per parola. Le sorprese, a quanto pare, ancora non erano finite, e con estrema fiducia e ammirazione lo seguii ritovandomi, ben presto, dentro una parte del Multiverso…