La parola Natale porta con sé un significato essenziale e universale, complessa ma tanto semplice, immensa quanto infinitamente piccola: nascita.
Nascita di una vita, di una possibilità, di una luce che emerge nel buio dell’inverno. Al di là delle tradizioni religiose, culturali o familiari, il Natale richiama da sempre questo gesto originario: qualcosa che viene al mondo e chiede accoglienza.
Eppure, negli anni, le usanze legate al Natale sono profondamente cambiate. Un tempo era una festa scandita da rituali semplici, da attese lente, da gesti ripetuti che avevano il sapore della condivisione. Oggi, spesso, il Natale sembra consumarsi in fretta: vetrine illuminate, corse ai regali, tavole imbandite più per dovere che per reale desiderio di incontro.
In questo cambiamento, non è raro sentire che lo “spirito del Natale” si è perso. Ma forse la verità è un’altra: ciò che non sentiamo fuori è ciò che, in quel momento, non riusciamo più a contattare dentro.
Lo spirito del Natale non si cerca, si genera
Se non senti il Natale nel cuore, difficilmente potrai trovarlo all’esterno.
Nessuna luce, nessun canto, nessun pacchetto regalo può sostituire quell’apertura interiore che rende possibile la gioia. Il Natale, nella sua essenza più profonda, non chiede di essere celebrato, ma incarnato.
È un invito ad aprire il cuore, a lasciare nascere qualcosa di nuovo dentro di noi: un gesto di cura, un atto di gentilezza, una disponibilità inattesa verso l’altro. Quando il cuore si apre, fare del bene non è più un dovere morale, ma una conseguenza naturale. E da lì nasce una gioia sottile, silenziosa, che non ha bisogno di grandi scenografie per esistere.
Quando il Natale diventa silenzio e solitudine
Con il passare del tempo, però, può accadere qualcosa di delicato e spesso poco raccontato. Soprattutto quando non ci sono bambini intorno a noi e verso i quali viene spontaneo essere giocosi e felici. Ecco allora che il Natale può trasformarsi in uno specchio che riflette assenze: persone che non ci sono più, legami che si sono allentati, tradizioni che si sono dissolte, tavolate solitarie. In questi momenti, il senso di solitudine può farsi più acuto.
Le feste amplificano ciò che manca, e la mancanza di “spirito natalizio” può diventare una presenza ingombrante, quasi dolorosa. Non perché il Natale sia scomparso, ma perché il cuore, ferito o stanco, fatica a riaprirsi.
Eppure, anche qui, il Natale resta fedele alla sua natura: nasce proprio nel punto di maggiore buio. Non come euforia forzata, ma come possibilità di riconciliazione con il proprio sentire, con la propria storia, con la nostra sofferenza, qualunque essa sia.
Il Natale come incontro invisibile
Forse il Natale non è qualcosa che si organizza, ma qualcosa che si incontra. A volte in un gesto semplice, a volte in un ricordo, a volte in un sogno. Ed è proprio qui che può trovare spazio una dimensione più simbolica e profonda, quella in cui figure come Babbo Natale smettono di essere solo personaggi dell’infanzia e diventano archetipi di benevolenza, dono, presenza amorevole.
Citando un pezzo di un articolo di Salvatore Brizzi, lui dice che Babbo Natale è la trasposizione materiale simbolica dello “Spirito del Natale”, che è un deva (=un angelo), il quale si muove dai piani più elevati dell’esistenza e scende nella materia per portare GIOIA ai bambini e VOLONTÀ DI BENE all’umanità intera.
E così, io voglio raccontarvi il mio personale incontro con lui, avvenuto ben due volte nell’arco della mia vita…
Correva l’anno 1991 e io stavo attraversando uno dei miei momenti più bui della mia adolescenza: la difficoltà di integrarsi con i compagni in una scuola che non mostrava la minima empatia nei miei confronti, la confusione circa la mia sessualità, il bisogno di essere accettato per quello che ero e la disperata ricerca di fiducia in me stesso.
Insomma, uno stato generale di difficile integrazione con la vita che stavo vivendo.
Una notte, in un mese totalmente distante dalle feste di Natale, ho fatto un sogno lucido (ovvero un sogno in cui ti stai rendendo conto che stai sognando e dentro al quale riesci a essere totalmente presente a ciò che sta accadendo) nel quale guardavo dal balcone di casa mia, all’epoca un appartamento in affitto al settimo piano di un palazzo sito in borgo Vittoria, una zona periferica di Torino. Nel sogno sono ammirato dalla luna che spunta dai tetti delle case sullo sfondo della Basilica di Superga, ed è allora che vedo spuntare una slitta con tre renne, sulla quale, non potevo credere ai miei occhi, c’era Babbo Natale in persona.
E lui stava venendo verso di me.
Giunto fino all’altezza del mio balcone, lo guardo totalmente sbalordito e sorpreso, incredulo, e lui mi dice: “Cosa aspetti, Luca! Sono venuto qui per te e questa notte puoi esaudire tre desideri. Forza, sali sulla slitta e andiamo!”
La slitta? Tre desideri? Non riuscivo a credere che tutto stesse avvenendo davvero. Sapevo di essere dentro a un sogno, ma era tutto talmente reale (gli odori, il freddo, il tocco della slitta, le vertigini dell’altezza) che non sapevo come affrontarlo.
Come primo desiderio avevo chiesto di poter raggiungere la casa di un amico che avevo perso di vista e verso il quale avevo provato un grande sentimento, così lui mi accontentò. Ci arrivammo nel giro di poco, volando sopra i cieli di Torino, e io ricordo le stanze di quella casa in cui era andato ad abitare, da me mai vista fino a quel momento, e la sua famiglia, che nel frattempo si era ampliata con l’arrivo di una sorella nata da poco: io avevo il cuore colmo di gioia. Vedevo che stava bene ed ero felice per lui.
Subito dopo decisi di farmi trasportare in America dove volli incontrare un’attrice di soap opera, Sentieri, che all’epoca vedevo con grande “attaccamento”. Era un’attrice che ormai era uscita di scena rispetto al suo personaggio, e io ne ero follemente attratto. Kristy Ferrel è il suo nome, e Babbo Natale non perse un attimo nell’esaudire quell’improbabile desiderio. Passammo una sorta di portale spaziale e ci ritrovammo ben presto in una casa americana, dove potevo stare vicino alla mia beniamina, seppur lei non potesse accorgersi della mia presenza. Assolutamente entusiasmante.
E arrivò il tempo del terzo desiderio, l’ultimo che mi era concesso. Fattomi prendere dall’entusiasmo istintuale nei primi due, questa volta volevo pensarci un po’ profondamente perché sapevo che sarebbe stato l’ultimo. E come iniziai a parlare, sentii, al piano di sotto della mia abitazione, un signore che stava urlando dal dolore, visibilmente provato e disteso a terra fuori dalla porta del suo appartamento, vicino all’ascensore. Stava soffrendo per un malessere fisico molto forte, e intanto Babbo Natale mi guardava in attesa del mio desiderio: a quel punto non ebbi esitazione. Volevo che quell’uomo guarisse. E così avvenne.
Presto fatto, mi lasciò sul balcone di casa mia e mi disse che sarebbe tornato a trovarmi, sparendo tra i tetti di Torino, verso la luna, fin oltre la basilica di Superga.
Quando mi svegliai era tutto talmente reale e dettagliato che scrissi immediatamente quel sogno, e dopo alcuni anni, una notte qualunque, si ripresentò da me esattamente come mi aveva promesso, e nella stessa e identica modalità. Anche in quel caso l’ultimo desiderio fu usato per aiutare una persona sofferente, e oggi questo incontro speciale ha acquisito un significato ancora più “vero”. “Tornerò a trovarti, abbi fede…” E si dileguò.
Da allora lo sto ancora aspettando, ma sono certo che ciò che promette, mantiene, e, prima o poi, lo rivedrò raccontandogli di quante persone ho davvero aiutato da allora…
Ritrovare il Natale, ogni volta, da dentro
Forse crescere non significa smettere di credere, ma imparare dove cercare.
Il Natale non è perduto perché il mondo è cambiato, ma perché spesso ci dimentichiamo che il suo luogo di nascita è interiore. Quando il cuore si apre — anche solo di poco — qualcosa rinasce. E in quel momento, senza clamore, senza obblighi, il Natale torna a essere ciò che è sempre stato: un atto di fiducia nella possibilità del bene, anche quando tutto sembra dirci il contrario.
E forse è proprio questo il suo dono più grande: ricordarci che, finché c’è spazio nel cuore, una nascita è sempre possibile.

